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C’era una volta il lusso

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Dire Gucci è dire lusso. O almeno lo era. Per quanto si possa ammirare il piglio deciso di Frida Giannini (ha spostato la storica sede della maison da Firenze a Roma ed è sopravvissuta alla maretta che ha visto cambiare tutti i vertici della casa di moda italiana), non si può certo dire che brilli per ispirazione, sia considerando le passate collezioni – tutte un tripudio di ripescaggi tra le stampe d’archivio – che la più recente.

Lo stile di Gucci c’è tutto, stampe ripescate incluse (e rielaborate al computer), ma di originale c’è poco. Se ne sono accorti tutti, guardando la sfilata fatta di pantaloni smilzi alla caviglia e giacche striminzite e avvitatissime, multi collane al collo e stampe colorate, e c’è stato addirittura chi ha malignato paragonando la collezione ad una qualunque produzione da fashion-imitator come Zara e H&M.

A giudicare dai maxi-dress vagamente seventies e un po’ hippie che chiudono la sfilata e dalle banalissime mise safari-inspired non possiamo che dare ragione alla perfida ma lucida commentatrice del Wall Street Journal, seguita a ruota anche dal New York Times e da WWD.

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