È polemica da giorni sulla scelta di Alessandro Michele di portare in passerella da Gucci teste duplicate dei modelli che le tengono sotto braccio mentre passeggiano sul catwalk. Parliamo della linea autunno inverno 2018-19 della maison e del gusto del suo direttore creativo per la provocazione e l’eccesso.
La scelta, pur discutibile e giudicata da più parti di pessimo gusto, affonda le sue radici in una metafora, quella della costruzione dell’identità. Attraverso l’abbigliamento, naturalmente, ma anche tramite operazioni di senso che si legano alle ultime tecnologie.
“Siamo i dottor Frankenstein delle nostre stesse vite – dice lo stilista – Quello che faccio ha una chiarezza clinica. Ho pensato perciò ad uno spazio che potesse rappresentare l’atto creativo. Volevo riprodurre il laboratorio che ho nella mia testa. È un lavoro fisico, proprio come quello di un chirurgo.”
E così ecco la sala operatoria come sfondo ed ecco le identità dei modelli duplicate tramite teste mozzate portate a spasso come accessori. Disturbante? Sì. E di fatto questa operazione ha finito per mettere in secondo piano gli abiti della collezione.
Michele però vede il lato positivo: liberarsi dai confini della nostra condizione naturale, essere capaci di riprodurre le nostre identità, fare un passo oltre in una era post-umana che per molti versi ci terrorizza ma che apre anche possibilità impensabili. E gli abiti? E chi si è accorto degli abiti?
Foto da Vogue
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